Nel solo 2022 l’Italia ha speso 75 miliardi di euro in più per l’energia. Una cifra enorme, sufficiente a realizzare il nostro obiettivo al 2030 di fonti rinnovabili. Ora non è più tempo di chiacchiere, dobbiamo subito fare i numeri veri.
Di sveglie e risvegli ne abbiamo avuti in questi ultimi tre anni. Adesso in Italia abbiamo otto anni per calarci nella realtà e darci una mossa: dobbiamo fare veramente tanta, ma proprio tanta energia rinnovabile a partire da subito. La lancetta la mettiamo sul 2030.
Serve accelerare con un passo da gigante che ci dovrà portare poi ad una quasi completa decarbonizzazione, almeno del sistema elettrico, a metà secolo. Chi da domani ostacolerà questo processo dovrà assumersi un’enorme responsabilità.
Quali sono state queste sveglie e quali sono gli obiettivi per l’Italia?
La sveglia, che molti non hanno ancora capito o mal interpretato, dovrebbe essere tutta dentro la crisi pandemica, i lockdown, il caro energia e materie prime con un’inflazione a due cifre, la guerra in Ucraina, i rischi sempre più concreti di sicurezza sulle forniture energetiche, gli eventi climatici sempre più estremi.
Tutti fattori ed eventi spesso connessi tra loro. Hanno creato una crisi di più ampia portata che ci ha fatto spendere come paese nel 2022 circa 75 miliardi di euro in più per l’energia in confronto ad uno solo degli anni precedenti.
Una somma di denaro impressionante che, in teoria, ci avrebbe consentito in un anno tutti quegli investimenti (durevoli) che ci servirebbero per lo sviluppo delle fonti rinnovabili fino al 2030.
Ed ecco allora alcuni degli obiettivi: nei prossimi 8 anni dobbiamo installare circa 70 nuovi GW tra fotovoltaico ed eolico, investire in reti di distribuzione e trasmissione, elettrificazione dei consumi, sistemi di accumulo di vario tipo, iniziare a rendere operativi diversi elettrolizzatori per la produzione di idrogeno verde, per non parlare della riqualificazione profonda del nostro energivoro parco edilizio.
Una grande e necessaria operazione da far tremare i polsi a ogni decisore pubblico. Un piano che tuttavia potrebbe risolvere al tempo stesso crisi economica, climatica e rischi legati alla sicurezza e alla dipendenza energetica del nostro paese.
Nonostante questa stimolante prospettiva, in Italia tanti piccoli centri di potere hanno deciso di dichiarare guerra aperta ad impianti eolici e fotovoltaici che, a loro dire, devastano il paesaggio in base ad un “culto della bellezza” del tutto soggettivo, facendoci stupire invece di tanta indifferenza sui veri scempi del nostro territorio.
Il complesso progetto di decarbonizzazione che ci attende richiederebbe, al contrario, un intervento compatto su vari fronti, come quello autorizzativo e normativo, per allocare ingenti investimenti nella formazione sia di tecnici che di addetti della pubblica amministrazione nazionale e locale, che dovranno realizzare e valutare piccoli e grandi impianti. E finalmente l’impostazione di un abbozzo di politica industriale che favorisca la nascita o la rinascita di linee produttive nazionali di sistemi e componenti essenziali per contribuire almeno un po’ a questo grande sforzo.
Avremmo bisogno di energia, idee, progetti e strategie, soprattutto di grandi numeri, ma intanto ci solleticano di più le misere polemiche su alberi di Natale con pannelli solari sottostanti o ci piace farci trascinare dall’immotivata euforia della stampa per un esperimento sulla fusione nucleare che forse produrrà qualche kWh tra 30 o 40 anni.
Eppure, la sfida ce l’abbiamo oggi e coinvolge tutti: dal piccolo proprietario di casa alla grande utility, dal termotecnico all’operatore di reti, dall’amministratore comunale allo studente che potrebbe trovare qui il suo futuro lavorativo.
La sfida è enorme. Le rinnovabili dovranno coprire al 2030 il 65-70% della domanda elettrica nazionale, mentre quest’anno, a causa del crollo verticale della produzione idroelettrica, non arriveremo al 35%.
Se pensiamo al solo fotovoltaico, che avrà il ruolo preminente tra le fonti energetiche, sappiamo che dovremmo installare sul nostro territorio 8 GW all’anno fino alla fine del decennio, e così passare dai 27 TWh/anno generati oggi dal solare a 100 TWh/anno, una produzione che ci consentirebbe di evitare l’importazione di 20 miliardi di metri cubi di gas ogni singolo anno.
Stiamo parlando però di un incremento di circa 70 TWh solari e in soli 8 anni, quando il fotovoltaico nei passati nove anni ha aumentato la sua produzione di appena 6 TWh.
Questi sono i numeri che dovremo sempre tenere a mente, per agire di conseguenza.
Il nostro comparto fotovoltaico forse non è ancora completamente attrezzato per l’impresa, ma vuole investire, perché il solare conviene, e senza più incentivi: più di 100 GW di richieste di connessione di impianti FV utility scale sono state già presentate, e solo per l’alta tensione.
E lo spazio per soddisfare ampiamente questo target 2030 esiste: sfruttando in parte solo il 20-30% dei tetti realmente disponibili degli edifici residenziali e commerciali e appena il 6% della superficie agricola non utilizzata (il 6% di circa 1 milione di ettari), senza toccare la superficie agricola (pari a 18 mln di ettari).
Non abbiamo altra scelta che accelerare. Si può fare e anche con giudizio. Non sarà facile se pensiamo che dal 2014 al 2021 l’installato fotovoltaico è stato sempre al di sotto del gigawatt.
Da quest’anno però qualcosa si è finalmente mosso, e dal grafico di Terna (a fine novembre) si può vedere che dovremmo superare a fine anno i 25 GW di potenza FV cumulativa, con oltre 2,2 GW di potenza annuale.
Abbiamo però bisogno di aumentarla ogni anno e fino al 2030 di un fattore 4!
E poi c’è l’energia eolica, che dovrà puntare ad un quasi raddoppio a fine decennio per arrivare a circa 20 GW operativi e con una buona parte delle nuove installazioni offshore.
Anche qui si può e si deve fare, senza rinnegare le priorità del paesaggio, al netto dei vari integralismi e di chi anacronisticamente continuerà a remare contro.
Fonte artiolo: on line magazine QualEnergia.it